Sulla vicenda relativa al licenziamento e alla lotta portata avanti dai 41 facchini impiegati presso lo stabilimento della Granarolo interviene nuovamente la Prefettutra di Bologna convocando tutti i soggetti coinvolti “al fine di individuare percorsi utili alla soluzione della vertenza”. Già in passato la Prefettura si era interessata alle proteste dei facchini sollecitando l’intervento della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Nello stupore generale (financo quello dei giuristi più democratici) il parere della Commmissione arrivava nel caso della Granarolo a limitare il diritto di sciopero dei lavoratori per tutelare un insieme di diritti essenziali (alla vita, alla salute etc) ritenuti compromessi dal mancato approvigionamento dei prodotti lattiero-caseari della Granarolo (sic!).
Ma aldilà della creativa interpretazione della Commissione sull’essenzialità o meno di un servizio, il dato politico preoccupante che emergeva era quello che vedeva schierarsi a tutela dell’ interesse padronale privato e in particolare del potere locale i diversi organi delle “auterevoli istituzioni” che tradivano in questo modo le stesse regole democratiche da cui traggono legittimazione e lo facevano sia sul piano politico-sociale sia su quello giuridico-economico (a proposito di concorrenza e libero mercato..).
Alle democratiche minacce i facchini, il loro sindacato e tutti i solidali rispondevano nell’abituale modo. Continuando a lottare. Con i picchetti, con il boiccottaggio e con una grande manifestazione il 1 giugno in cui in migliaia invadevano le strade della città felsinea dichiarandosi tutti facchini, pronti a scaricare la Granarolo e tutte le politiche di austerità che sacrificano in nome del profitto di pochi la vita e i diritti dei più.
Ed è a questo punto che la Prefettura bolognese dimostra il suo rinnovato interesse per la vicenda convocando il 17 giugno presso la propria sede una riunione con le parti in causa. L’architettura della “tentata composizione” è dall’inizio compromessa dall’esistenza di tue tavoli separati, da una parte i padroni (cooperative e commitenti anch’esse cooperative), la loro associazione di categoria(Legacoop), i loro sindacati Cgil, Cisl e Uil. Dall’altra parte i lavoratori e il sindacato che realmente li rappresenta (Si.Cobas).
Il primo tavolo elabora con la supervisione delle istituzioni un accordo che firma in tutte le sue parti e che sottopone successivamente ai delegati dei lavoratori e al loro sindacato. Il secondo tavolo decide di non firmare l’accordo giudicandolo lesivo per gli interessi dei lavoratori a cui vuole rivolgersi per il loro parere. E già questo passaggio crea lo stupore meravigliato della Lega delle Cooperative che sebbene si richiami ai principi del mutualismo nella sua stessa esistenza, dichiara a mezzo stampa la sua disapprovazione per la decisione del Si.Cobas nel voler prima confrontarsi con i facchini. Da quando in qua i lavoratori hanno un’autonoma opinione?
Ad ogni modo lontano dall’antidemocratico mondo cooperativo i facchini si riuniscono, commentano la proposta e decidono. Non vogliono che il sindacato che li rappresenta firmi quell’accordo.
L’accordo che i sindacati confederali firmano trae le sue proposte in modo coerente dalla premessa che lo stesso prefetto descrive. Tutta la vicenda viene descritta omettendo le illegittimità commesse dal consorzio Sgb nei confronti dei lavoratori. Nulla si dice sulle gravi inadempienze al Ccnl, e si tace sul taglio dei salari che per mesi sono stati decurtati del 35% in ragione di uno “stato di crisi” che veniva fatto votare agli stessi facchini in modo ingannevole con deleghe in bianco e profittando del loro essere stranieri che non conoscono certe furberie scritte in un italiano volutamente troppo tecnico. “Stato di crisi” in un’azienda che è l’ennesimo satellite cooperativo di intermediazione di manodopera di una multinazionale (la Granarolo) che sta quotandosi in borsa e che dichiara soddisfatta il proprio successo di bilancio. Un bilancio che la Granarolo costruisce sfruttando gli schiavi alla base della sua piramide tacendo e guadagnando sul loro lavoro appaltato a cooperative di furfanti. Spregevole ipocrisia che la Grande Mucca intende nascondere per evitare di adombrare con le “nere proteste” le sue “bianche mozzarelle in odor di finanziarizzazzione”.
Di tutto questo alla Prefettura non si parla. Ma si preferisce scrivere “nero su bianco” la colpa dei facchini, rei di aver provocato con le loro proteste “l’acuirsi di tensioni sociali , gravi danni all’utenza ed infine rilevanti danni economici alle aziende”. Sugli ultimi due punti già si è detto, mentre sul primo vorremmo ricordare come in più occasioni fossero proprio i responsabili delle aziende a cercare di esasperare il clima davanti ai cancelli fino a tollerare ed invitare i propri camionisti ad investire il picchetto di lavoratori e solidali (come illustra questo video).
E se queste sono le premesse dell’accordo le conclusioni sono conseguenti. Sgb, la cooperativa che ha licenziato i lavoratori e che è stata successivamente scaricata dalla Granarolo riassumerebbe i facchini per poi metterli in Cigs (per soli 6 mesi). La Ctl e la Lega delle Cooperative si impegnerebbero a verificare la possibilità di reimpiegarli in un incerto futuro e tramite interinali. La Granarolo e la Cogefrin (l’altra ditta che ha appaltato i faccchini dell’Sgb) continuano a far finta di non esistere. E il Si.Cobas e i lavoratori dovrebbero revocando “lo stato di agitazione” rinunciare a qualsiasi forma di protesta futura.
E questo sarebbe un accordo da firmare?
Questi lavoratori che sono stati prima sfruttati e poi truffati e che hanno voluto alzare la testa per farsi rispettare nella loro dignità di persone, sono stati sospesi dal lavoro, minacciati dai loro capi, sbeffeggiati dai sindacati confederali, infine licenziati per aver esercitato il diritto fondamentale dello sciopero.
Questi lavoratori sono perlopiù migranti sottoposti ai continui ricatti da parte di leggi infami che li criminalizzano per la loro stessa esistenza nel nostro bel paese si sono stancati di accettare ogni forma di angheria senza mai rivoltarsi.
Questa battaglia non è più solo la possibilità di riottenere il proprio posto di lavoro, qui si tratta di tornare ad affermare il proprio essere persone e non bestie da soma. I facchini alla lettura dell’accordo erano increduli e profondamente offesi dal modo in cui veniva raccontata la loro storia. E con una sola voce hanno chiesto se accettiamo un simile accordo perchè abbiamo iniziato a lottare? Questa è la determinazione di una soggettività che ha molto da raccontare e da condividere e che non è più disposta a farsi prendere in giro dall’arroganza di quelli che erano sicuri che gli schiavi non si sarebbero mai ribellati.
Il comunicato di risposta dei SiCobas all’ipotesi di accordo su Granarolo
All’attenzione del Prefetto di Bologna Angelo Tranfaglia.
Illustrissimo Prefetto, quando il 17 giugno 2013 si è svolto l’incontro alla Prefettura, sulla questione che riguardava la vertenza per i soci, nonché lavoratori subordinati, licenziati da alcune cooperative del Consorzio SGB, pur non comprendendo l’inusuale confronto su tavoli separati (da una parte i Consorzi, le cooperative, i loro committenti, l’associazione Legacoop e CISL,CGIL e UIL, e dall’altra noi che rappresentiamo tutti i lavoratori interessati), Le avevamo fatto una breve premessa sulle motivazioni che avevano portato al grave provvedimento di licenziamento dei lavoratori.
Le avevamo fatto presente (documentazione alla mano che potevamo esibire), che i lavoratori avevano iniziato il primo sciopero perché, illegalmente e con la complicità di alcuni sindacati confederali, le cooperative avevano taglieggiato del 35% la paga base, promuovendo uno “stato di crisi” in quei magazzini dove facevano straordinari.
Inoltre gli istituti contrattuali (tredicesima, quattordicesima, ROl ed ex festività) erano stati pagati al di sotto del 100%, gli scatti d’anzianità mai maturati (con alcuni lavoratori presenti nel magazzino almeno da 12 anni), livelli non corrispondenti all’attività che professionalmente svolgevano e tante altre ruberie che avevano abbassato il salario contrattuale dei lavoratori.
Avevamo anche precisato che il giorno dopo lo sciopero, i lavoratori, senza nessun atto formale, si erano trovati sospesi dall’attività e tale illegalità era stata immediatamente denunciata all’Ispettorato del Lavoro di Bologna.
Ora, di fronte a questa palese irregolarità (per usare un eufemismo) ci aspettavamo di ottenere, al tavolo da lei promosso, un atteggiamento riparatorio da parte dei responsabili datoriali, i quali avevano trasgredito ogni dettato del contratto nazionale che regola il rapporto di lavoro nella logistica.
Noi, seppur a malincuore, per non arrivare a portare avanti la coflittualità in tempi lunghi, avevamo accettato il percorso di una cassa integrazione a zero ore, ma con tempi definiti, perché il rientro dei 41 al lavoro fosse certo e a condizioni predefinite.
Nel documento che ci ponete come definitivo per la firma, leggiamo che i due scioperi e l’attività da noi svolta, per far rientrare i lavoratori ingiustamente sospesi, avrebbero creato un contesto dove “sono stati posti in essere comportamenti anche illegali che hanno determinato gravi problematiche e ricadute anche in termini di rischio per il mantenimento dell’ordine e la sicurezza pubblica” e tale situazione avrebbe “costretto” il Consorzio SGB a procedere al licenziamento dei 41.
Non condividiamo tale descrizione perché invece si è trattato di un attacco premeditato al diritto di sciopero ed alla giusta richiesta dei lavoratori che richiedevano salari e diritti secondo il CCNL.
Rigettiamo, perciò, come Sindacato Intercategoriale Cobas, questa mistificante ricostruzione dei fatti.
Chiediamo pertanto di rivedere questa premessa che falsifica i fatti.
Infine, data la vaghezza a cui l’accordo si riferisce nel generico impegno delle parti datoriali nell’assumere i lavoratori dopo la CIG, chiediamo vi siano in tal senso garanzie di date certe. Non accettiamo di avere una benevola “raccomandazione” della CTL e della Lega delle Cooperative presso “società di lavoro interinale”.
Delle promesse non ci fidiamo, a maggior ragione se queste provengono da tutti coloro che non hanno operato precedentemente (ricordiamo che per legge le stesse committenti sono responsabili anche economicamente delle mancate retribuzioni e illegalità fiscali delle cooperative che agiscono nei loro magazzini) per l’ottemperanza dei diritti stabiliti dal contratto nazionale, svolgendo di fatto un’attività atta a truffare lo Stato, tramite l’evasione contributiva.
Per tutte queste questioni da noi poste, Le chiediamo di riaprire il tavolo perchè si trovino soluzioni certe e l’accordo non sia un libro dei sogni scritto dai padroni e dai sindacati consociati che già siglano insieme contratti che non vengono neanche resi operanti.
Quanto propostoci da costoro comporta che i 41 lavoratori, oltre ad essere stati derubati per anni del loro salario, siano di fatto lasciati parcheggiati con gli altri attuali 30 (trenta) in cassa integrazione per sei mesi ad un salario ridotto e con il più che probabile rischio di non avere un lavoro certo.
In parole povere i lavoratori del S.I. Cobas sono preoccupati di subire un’altra ingiustizia che per giunta sarebbe a costo zero per chi li ha danneggiati per tanti anni.
Sintesi uscita dalla discussione fatta tra i lavoratori dal Sindacato Intercategoriale Cobas
Bologna 20-06-2013